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Donne Manager: in Italia la strada è ancora in salita

Negli ultimi decenni, la situazione lavorativa delle donne è migliorata significativamente: l’occupazione è aumentata e sono sempre più numerose quelle che occupano posizioni manageriali. Tuttavia, in Italia, le donne manager costituiscono meno di un terzo del totale (28%), ben al di sotto della media europea (33%).

In un Paese in cui il tasso di occupazione femminile è il più basso dell’Unione Europea (il 55% contro una media del 69,3%), per le donne è ancora difficile raggiungere ruoli manageriali. In seguito alla pandemia di COVID-19, la situazione è ulteriormente peggiorata.

Scopriamo quali sono i fattori che ostacolano la crescita professionale delle donne e quali soluzioni potrebbero essere adottate per risolvere il problema, tenendo bene a mente che il lavoro è uno strumento essenziale per l’emancipazione femminile.

Discriminazioni sul lavoro

Uno dei motivi principali per cui le donne faticano a fare carriera sono le discriminazioni sul lavoro

È molto più comune che, dopo la fase di selezione, a essere assunto sia un uomo, nonostante abbia la stessa preparazione o esperienza di una candidata donna.

Esistono infatti dei bias culturali che ci portano a pensare che un uomo sia più intelligente e competente di una donna e più adatto a svolgere la maggior parte delle professioni. Inoltre, è ancora tristemente comune che in sede di colloquio vengano poste alle candidate domande personali (peraltro illegali) volte a indagare la loro situazione familiare, l’eventuale presenza di figli o l’intenzione di averne in futuro.

Molti datori di lavoro pensano che assumere una donna sia meno conveniente dal punto di vista economico, dal momento che è possibile che vada in maternità o che debba assentarsi dal lavoro per motivi familiari.

Anche quando una donna rompe finalmente il cosiddetto glass ceiling e ottiene una posizione di responsabilità, è comunque vittima del doppio standard: le sue parole e azioni vengono giudicate diversamente da quelle di un uomo nella sua stessa posizione. In base agli stereotipi culturali sulla femminilità, ci si aspetta che le donne siano sempre gentili e accomodanti, che non alzino mai la voce e che rifuggano ogni tipo di conflitto.

Per questo motivo, una donna di potere è spesso ritenuta minacciosa dai colleghi uomini, che non sono culturalmente preparati a occupare una posizione subalterna rispetto a una donna. Basti pensare a come la competitività e l’aggressività siano apprezzate negli uomini di successo e condannate duramente nelle donne.

Quando un uomo è ritenuto assertivo, serio e determinato, la sua omologa donna è considerata cattiva, insensibile e arrivista. Un uomo può essere talentuoso e sicuro di sé, mentre una donna risulta superba e arrogante.

Anche nei ruoli apicali esiste il problema del gender pay gap, per cui le donne ricevono stipendi inferiori agli omologhi uomini. In Italia, poi, quando si parla di ruoli dirigenziali, la distanza tra le retribuzioni è addirittura più ampia rispetto a quella tra uomini e donne inquadrati in posizioni inferiori.

Modelli di riferimento e percorsi scolastici

Sul lavoro le donne sono spesso vittime di segregazione verticale, dal momento che faticano maggiormente rispetto agli uomini nel raggiungere posizioni dirigenziali. Le lavoratrici italiane però vivono anche una segregazione orizzontale: sono sottorappresentate in moltissimi ambiti lavorativi e relegate in settori occupazionali fortemente legati agli stereotipi di genere.

Le donne infatti si dedicano prevalentemente ai lavori di cura e spesso non considerano nemmeno delle alternative, dal momento che gli stereotipi di genere le descrivono come particolarmente portate per settori come l’insegnamento, l’assistenza e la cura della persona.

Questi ambiti professionali riconoscono retribuzioni poco elevate e scarsissime possibilità di crescita, ma permettono alle donne di conciliare lavoro e vita familiare.

Le donne sono incoraggiate fin da bambine a seguire questi percorsi: basti pensare ai modelli di riferimento proposti nell’infanzia. I giochi per bambine sono coerenti con un’idea di femminilità stereotipata, che propone alle ragazzine bambolotti da accudire, giochi di cucina e pulizie, bambole bellissime con armadi pieni di vestiti.

Nelle fiabe e nei racconti per bambine, fino a pochi anni fa, le eroine erano sempre belle e un po’ ingenue, aspettavano qualcuno che le salvasse limitandosi a sognare un matrimonio regale.

Negli ultimi dieci anni per fortuna ha avuto inizio un forte cambiamento in questo senso ed esiste oggi una maggiore consapevolezza rispetto alla necessità di mostrare alle bambine modelli e strade diversi da quelli tradizionali.

In Italia durante la scuola primaria le bambine ottengono generalmente risultati migliori dei compagni maschi, eppure la scelta dei percorsi scolastici si distingue nettamente a seconda del genere quando si arriva alle scuole superiori. I maschi tendono a privilegiare materie scientifiche e percorsi che portano a professioni specializzate e ben retribuite, mentre le ragazze scelgono percorsi umanistici e carriere meno promettenti.

La percentuale di ragazze che scelgono percorsi universitari nell’ambito STEM (Science, Technology Engineering and Mathematics) è ancora largamente minoritaria (nel 2022 il 34% dei laureati) e questo è dovuto a un pregiudizio che descrive le donne come poco portate per la matematica.

Anche l’Unione Europea sta cercando delle soluzioni per interrompere questa tendenza e gli esperti suggeriscono di occuparsi dei libri di testo che ancora troppo spesso riportano stereotipi di genere, proporre alle bambine modelli di donne scienziate, incoraggiare le ragazze a interessarsi di materie STEM a scuola e in famiglia e sostenere le studentesse universitarie per scoraggiare l’abbandono degli studi.

Lavoro e maternità

La maternità è un’esperienza comune a molte donne, ma rappresenta un punto di non ritorno per la loro carriera. I dati ci dicono che in Italia una donna su cinque è costretta ad abbandonare il lavoro in seguito alla maternità, dal momento che per molte risulta impossibile conciliare carriera e cura dei figli.

Ancora oggi in Italia sono quasi esclusivamente le donne a occuparsi del lavoro di cura non retribuito, che comprende l’accudimento dei figli, le faccende domestiche e l’assistenza agli anziani. Questo rende quasi impossibile per molte donne raggiungere una situazione di Work-Life Balance, in cui cioè siano in grado di raggiungere l’equilibrio tra lavoro e tempo libero.

In Italia esistono forti criticità sul fronte dei servizi che potrebbero sollevare le donne da questo peso: l’offerta di asili nido è ancora molto scarsa e le richieste di iscrizione negli istituti pubblici sono in gran parte insoddisfatte. Le neomamme sono così costrette ad affidare i bambini alla cura dei nonni o ad abbandonare il lavoro per occuparsene.

La legge italiana prevede solo dieci giorni di congedo di paternità obbligatorio, contro i cinque mesi concessi invece alle madri. In altri Paesi come la Spagna sono state adottate misure volte a distribuire più equamente il carico di cura tra i genitori, come il congedo parentale obbligatorio e di uguale durata per entrambi.

Un congedo di paternità obbligatorio e più lungo aiuterebbe a ripensare in ottica paritaria i ruoli dei genitori e a permettere alle donne di continuare a lavorare.

La maternità ha conseguenze negative anche per le donne che riescono a rimanere nel mercato del lavoro: il termine motherhood penalty indica il fenomeno per cui i salari delle donne si abbassano significativamente dopo la nascita di un figlio (dal 10% al 35%).

Come abbiamo visto, la strada per la parità è ancora lunga ed il percorso è lento, ma inesorabile. È necessario che le aziende si impegnino a combattere gli stereotipi di genere e valorizzare la leadership femminile per un futuro più equo.

 

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